Museo Pecci

Museo Pecci

Progetto di lighting design

Nel mezzo di un nodo stradale tra Firenze e Pistoia, sorge il Museo Pecci: un Centro attivo a livello internazionale, con un’importante collezione permanente di opere dei maggiori artisti contemporanei. Su incarico confermato dal Comune di Prato, dalla Regione Toscana e conferito direttamente da Maurice Nio, fondatore dell’omonimo studio di architettura, progettista del museo, Kino Workshop si è occupato del progetto di lighting, sviluppando una luce flessibile:
– naturale, garantita da 99 condotti Solatube a totale controllo luxometrico;
– artificiale, grazie a binari elettrificati che corrono lungo la trasversale generatice del “serpente”, dando alloggio a proiettori con ottiche sferolitiche ad angolazioni variabili puntati sulle opere.

Di seguito due video in cui gli architetti Maurice Nio e Bernardo D’Ippolito di Kino Workshop, spiegano le peculiarità di questo straordinario progetto.

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Il progetto illuminotecnico studiato da Kino Workshop per il Museo Pecci di Prato può quindi considerarsi un mix tra luce naturale e luce artificiale, in cui l’obiettivo principale è, come l’arch. D’Ippolito afferma nelle interviste, creare una condizione di comfort visivo tale da mettere in risalto il contenitore (ovvero l’opera architettonica progettata da Nio) e il contenuto (le opere d’arte che qui sono esposte). Un’opera di ingegno nella quale è confluita tutta l’esperienza accumulata da Bernardo D’Ippolito, nel corso degli anni.

La luce naturale attraversa la copertura dell’edificio mediante un sistema canalizzato di riflessione, un vero e proprio tubo, e raggiunge l’interno filtrata da un dissuasore che ammorbidisce il flusso luminoso, conferendo allo spazio una luce perfettamente calibrata e gestibile per mezzo di sistemi di controllo digitale.

Quella artificiale invece è generata da una batteria di lampade a led dimmerabili posizionate in modo da diffondere la luce con effetto wall-washing, letteralmente “lavando” le superfici con una luminosità gradevole o omogenea.

La prima sfida illuminotecnica era per noi quella di assecondare le voluttuose curve, intersecanti  le diverse altezze, e diverse larghezze che generavano forme e volumi sempre dinamici. Dovendo inoltre gestire la luce per un museo e dunque per un luogo dedicato alla esposizione di opere contemporanee in ambito temporaneo, i sistemi di luce sarebbero dovuti essere per loro natura adattabili in potenza e diversità di fascio, nonché in numero di collocazione per diversa esposizione nello spazio e nel tempo, insomma un dedalo di necessità.

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Se immaginiamo infatti la luce come un solido trasparente, i volumi della luce esterna si incontrano attraverso le vetrate con quello provenienti dall’interno, e se non controllati adeguatamente la percezione diventa quella di vivere in spazi irrorati di luce parassita non controllata e non gradevole.

Il percepito dunque vuole essere quello di vivere in uno spazio interno gestito da una luce dinamica e cangiante che si adatta alle diverse esigenze, mentre al calar delle tenebre la struttura dall’esterno inizia a prendere il sopravvento con la sua pancia illuminata lasciando lentamente nell’ombra le nere vetrate inferiori.

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